Prosecco: oltre 500 milioni di bottiglie prodotte, ma a chi giova?
Oggi sul Corriere della Sera una interessante riflessione di Gian Antonio Stella sul boom del prosecco (http://www.corriere.it/cronache/17_settembre_05/tante-vigne-prezzi-bassi-corsa-prosecco-che-non-premia-l-italia-d8315854-91b0-11e7-8332-148b1c29464d.shtml).
Quest’anno a dispetto della siccità e della grandinate secondo il Consorzio di tutela verranno prodotte 550 milioni bottiglie di Prosecco, grazie anche all’ampliamento della Denominazione. Una crescita inarrestabile quella del Prosecco. Ma puntare alla quantità e su un monovitigno conviene davvero nel lungo periodo?
Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti e Slow Food non la pensano così. Le monocolture sono un impoverimento del territorio e Carlo Petrini arriva a dire che la “prosecchizzazione” rende il prosecco una “commodity” come la CocaCola, senza legami col territorio.
Inoltre la produzione massiva porta inevitabilmente a una “svendita” del marchio.
Già non sono infrequenti vere e proprie vendite sottocosto, anche all’estero, che mortificano il valore del prodotto e il duro lavoro dei produttori in vigna.
Se si considerano i costi di produzione del Prosecco che si aggirano intorno a € 3,71 a bottiglia ( € 1,65 per l’uva, € 1,12 per vinificazione e l’imbottigliamento,€ 0,46 per la bottiglia, € 0,17 per il tappo,€ 0,3 per la gabbietta, € 0,4 per la capsula) come è possibile trovare sugli scaffali bottiglie a 3 euro?
Ma ha senso “vendere per vendere”? O converrebbe puntare sulla qualità e sul prestigio del marchio come lo Champagne?
Piccata la risposta del presidente del Consorzio secondo cui le politiche di prezzo dei produttori non si discutono e il territorio ha le potenzialità per produrre milioni di bottiglie senza compromettere la qualità e rendendo il Prosecco un vino democratico e alla portata di tutti.
Prosit!
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